Alcune note sull’arte del tè in forma di intervista.
*Il tè è originario della Cina, come è arrivato in Giappone?
Ciò che comunemente si definisce tè è la foglia, variamente trattata, della
Camellia sinensis, un arbusto originario della Cina o, per alcuni, della regione
indiana dell’Assam. Le condizioni climatiche più favorevoli per la coltivazione
del tè sono un’umidità elevata e un’importante escursione termica.
Questa pianta fu introdotta in Giappone all’inizio del periodo Heian (794-
1185) da due messi della Corte imperiale, i monaci buddhisti Saichô, fondatore
del buddhismo giapponese Tendai, e Kûkai (meglio conosciuto con il
nome postumo di Kôbô Daishi) fondatore del buddhismo Shingon (il
buddhismo esoterico). Questi due monaci, di ritorno dalla Cina, portarono
in patria i semi del tè e introdussero gli esercizi per berlo. Il tè, inizialmente,
era a solo beneficio di una ristretta parte della nobiltà e del clero e veniva
preparato secondo la rigida tradizione cinese della dinastia Tang (618-907),
anche se molti secoli prima, nel continente asiatico, le foglie del tè venivano
usate come sedativo e le loro proprietà di rilassare il cuore, offrire energie
mentali e fisiche, rafforzare la vista e ostacolare la formazione di grassi, erano
già state studiate a fondo.
*Come veniva gustato il tè a quei tempi?
Le foglie erano passate a vapore, battute e pressate con forza fino a formare
una solida palla; questa veniva poi introdotta in un bollitore contenente acqua
molto calda oppure veniva raschiata per ottenere polvere per infusioni.
Ci sono testi che raccontano di queste “pratiche”
Il più antico e importante trattato sulla coltivazione, la preparazione, l’uso e
gli echi letterari del tè fu redatto intorno all’anno 758 dallo studioso e poeta
cinese Lu Yu. I tre volumi, dal titolo Chajing (Canone del Tè), sono rimasti
nei secoli la “summa” del sapere teistico ed hanno consacrato l’autore come
il “Dio del Tè”.
*Il Giappone antico ha sempre guardato alla Cina...
Certamente. Gli scambi erano molto frequenti tanto che nel periodo Kamakura
(1185-1336) l’interesse per il tè assunse una prospettiva nuova proprio
dopo il rientro dalla Cina, nel 1191, del monaco Eisai (1141-1215), il fondatore
della setta Zen Rinzai. Grande sostenitore dell’uso di questa bevanda a
scopo terapeutico (come dimostra il suo trattato in due volumi Kissa Yôjô Ki
–Preservare la salute bevendo il Tè–), Eisai introdusse in Giappone la pratica, in uso nei monasteri chan –i monasteri Zen cinesi–, di bere tè in polvere che veniva sciolto con acqua calda e frullato in una tazza. In Cina,
sotto la dinastia Sung (960-1279), il metodo per la preparazione e l’offerta
del tè era codificato: si dovevano usare solo oggetti di particolare valore e di
rara bellezza, eseguendo un determinato numero di gesti rituali. La bevanda
fu adottata nei monasteri Zen giapponesi come tonico per le lunghe sedute
di meditazione. L’applicazione delle regole formali, derivate dalle linee guida
indicate nei codici monastici dei templi cinesi, era di rigore. Tali codici
risultarono i beni più preziosi importati in Giappone nei frequenti pellegrinaggi
dei monaci delle sette Zen Sôtô e Rinzai.